AVIGNONE – Cattedrale di Notre-Dame des Doms

LA CATTEDRALE – NOTRE DAME DES DOMS

Il nome di “Nostra Signora de’ Doms” viene dal latino Domus episcopali, che significa “Casa del Vescovo”. Gli storici pensano che sin dal IV secolo, vi fosse in questo luogo una basilica accanto alla quale il vescovo aveva stabilito la sua dimora.
La cattedrale è situata di fianco all’imponente Palazzo dei Papi, costruita a partire dal 1150, venne poi ampliata nel XVI e XVII secolo con l’aggiunta di cappelle laterali; non presenta uno stile architettonico omogeneo, ma è caratterizzata da elementi appartenenti al romanico, al protogotico e al Barocco. L’esterno è caratterizzato dall’alta torre campanaria, che sostituisce un’eventuale facciata, della quale la cattedrale è sprovvista.
Il campanile, caratterizzato da paraste che si sviluppano per tutta la sua altezza, presenta, alla base, un particolare pronao ispirato all’architettura romana; è dotato di un importante carillon di 35 campane, quindici di esse possono suonare a distesa, il che le rende la seconda suoneria più corposa di Francia.
Dal 1840 è monumento storico di Francia e, dal 1995, patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO.

L’ORGANO

Nel mese di dicembre 2004 si sono conclusi i lavori di restauro, iniziati nel novembre del 2002, dell’organo ottocentesco, costruito dall’organaro italiano Piantanida, della Cattedrale Notre Dame des Doms di Avignone (Francia). Questo pregevole strumento, oggetto in Francia di autentico interesse e di sincera ammirazione, tanto da essere spesso familiarmente individuato per il suo aspetto col solo appellativo di “Orgue Doré” senza ulteriori specificazioni, rappresenta ancora ai nostri giorni, un punto di riferimento dell’arte organaria italiana ottocentesca.

Elemento fortemente caratterizzante di quest’organo ed oggetto di grande stupore è la sua splendida e monumentale cassa lignea dorata, di stile ispirato a canoni estetici sia di tipo italiano (l’estrema linearità del disegno, il classicheggiante coronamento rettilineo, la scarsa profondità dell’insieme) che più propriamente francesi  (la torricella centrale prominente, sorretta da una mensola e sormontata da una grande statua del re David musicante)

Lo strumento è composto da una tastiera di 54 note e pedaliera di 17 note più il pedale del rollante.
Il corista è risultato essere di Hz 438 a 18° mentre il temperamento utilizzato per l’accordatura finale presenta 7 quinte “calanti” e 5 quinte “pure”. La pressione totale del vento è di 50 mm in colonna d’acqua.

Il somiere maggiore è del tipo “a vento” costruito secondo metodologie e canoni legati alla scuola lombarda con particolari costruttivi legati al territorio varesino. In particolare: la chiusura delle portelle della segreta è realizzata mediante listelli in legno imperniati in basso (sul pavimento della segreta); questi ultimi sono fissati in alto in apposita struttura lignea opportunamente sagomata ( a forma di gancio), la guarnizione in corrispondenza del passaggio dei tiranti della meccanica, nel pavimento della segreta, è garantita da una piastrina in ottone fissata con quattro chiodini agli angoli, chiusura superiore dei canali a mezzo di unica striscia di pelle sormontata da una “cartella” in legno con fori rettangolari per il passaggio delle punte dei ventilabrini (somiere cosiddetto di tipo Antegnatiano, differente, proprio per questa particolarità, da quello ” a borsini”).

La tastiera presenta leve in noce con placcature in ebano per i diatonici ed in avorio per i cromatici. La meccanica della tastiera è costituita da catenacci in ferro le cui estremità sono state forgiate per essere sagomate secondo le necessità. I catenacci sono ancorati al sottostante asse in abete mediante strangoli in ottone a doppio giro.
I registri sono azionati da manette in legno con spostamento orizzontale da destra verso sinistra con bloccaggio in tacca. Le manette sono disposte su due colonne sul lato destro della tastiera.
La manticeria è posta in locale apposito situato ad una quota inferiore rispetto al piano dell’organo. I mantici sono stati integralmente ricostruiti nel numero di quattro, sono del tipo a cuneo con 5 pieghe.
La generazione del vento è possibile mediante tre sistemi diversi:

  1. mediante elettroventilatore;
  2. manualmente mediante azionamento dei mantici a mezzo di stanghe in legno;
  3. mediante azionamento automatizzato, con particolare apparecchiatura in parte  elettropneumatica e in parte meccanica.

In sede di restauro, a seguito della “lettura” completa dello strumento e della comparazione con la documentazione d’archivio e delle pubblicazioni sono stati ricostruiti, in quanto rimossi in precedenti interventi, i seguenti elementi:

  1. Terza Mano, che in origine era collegata alla “manetta” dei Bassi armonici ore è inseribile con nuovo pedaletto
  2. Gran cassa e piatti, comandati da nuovo pedaletto
  3. Rollante, azionato dall’ultimo pedale (esisteva la meccanica, mancavano le canne)
LA STORIA

“Grazie a Monsieur J.P.Decavele – Consulente tecnico”

Durante il periodo rivoluzionario, la Cattedrale fu abbandonata al saccheggio. Nel 1797, l’interno dell’edificio non presenta altro che delle rovine. La Sede episcopale fu trasferita a St. Agricole. Dopo un’importante campagna di restauro, 1’edificio fu reso alla sua vocazione primitiva il 6 Marzo 1822 per ordinanza reale.
Delle iniziative private pensarono a dotarla di un nuovo organo ed effettuarono una gara per l’appalto dell’opera: il risultato fu l’acquisizione di un organo di G. Mentasti.
Due costruttori di organi Avignonesi, ignari della gara, progettarono un grande organo a 3 manuali in stile Francese per la Cattedrale.
Appresa la notizia dell’assegnazione della gara si rivolsero al al Prefetto il 16 Agosto 1821, ma la vigilia, il 15 Agosto, lo “sponsor” di Mentasti aveva già avvertito il Prefetto per lettera del fatto che lo strumento era già stato realizzato, finanziato e pronto per l’installazione al servizio di Notre Dame des Doms.
Di fatto, l’affare durò anni, quando i crediti furono disponibili l’acquisizione dell’organo di Mentasti fu trattata col Sindaco di Avignone il 27 Settembre 1826, al prezzo di 18.000 FF. “pour l’achat de l’instrument et de son buffet ou devanture”, convenzione ratificata dal Prefetto il 10 Aprile 1827.
L’organista titolare, Monsieur Astruc, rimase in cattedra fino al 1842. Egli aveva tradotto in francese i nomi dei registri e la composizione, francesizzata da Astruc, si legge ancora sulla tavola delle manette.

Una tradizione, ripresa in parecchie pubblicazioni, attribuisce l’organo a Piantanida mentre bisognerebbe attribuirlo a C. Mentasti “primo operaio del Sieur Piantanida” come affermava F. Astruc nella sua lettera al Sindaco in data 18 novembre 1825.
Mentasti aveva lavorato per il suo principale sull’organo di St. Pierre, sempre a Avignone, negli anni 1820 e 1821.

Piantanida – Mentasti  XVIII/XIX sec.

“Eseguito un attento esame abbiamo potuto rilevare la grande affinità di lavorazione di quest’organo con gli strumenti di scuola varesina, in particolare di Giovanbattista Biroldi (1712-1792). Questa affinità si evidenzia in maniera diremmo inequivocabile nella segnature delle canne ed è una testimonianza che lascia supporre un rapporto diretto di Piantanida e di Mentasti con la famosa bottega organaria Biroldi”

Lo strumento è composto da una tastiera di 54 tasti e pedaliera di 17 pedali.

COMPOSIZIONE FONICA

Principale I bassi

Principale I soprani

Tromba soprani

Fagotto bassi

Violoncello bassi

Flautone soprani

Flauto traversiere soprani

Flagioletto bassi

Flauto in ottava

Cornetto I

Cornetto II

Bombarde ai pedali

Contrabassi e Ottave ai pedali

Principale II bassi

Principale II soprani

Ottava

Quintadecima

Decimanona

Vigesimaseconda

Vigesimanona

Trigesimaterza e trigesimasesta

Sesquialtera

Voce Umana

 

Timballi ai pedali

Flauto ai pedali

Accessori: (di fronte, a destra della pedaliera)

  • Pedaletto per Gran cassa, piatti e rollante
  • Pedaletto per Terza mano (sul fianco destro)
  • Pedalone per Tiraripieno
  • Pedalone per Tiratutti (combinazione libera)
RELAZIONE DI RESTAURO

Il 3 novembre 2002 si procedeva allo smontaggio dello strumento.
Le operazioni sono state documentate da fotografie, rilievi e appunti. Il tutto finalizzato sia ad una dettagliata rendicontazione dei lavori eseguiti sia a predisporre adeguati supporti documentari per il successivo rimontaggio rigorosamente rispettoso delle soluzioni tecniche adottate dal costruttore.
Prima di venire rimossi dalla loro originaria posizione sono stati eseguiti dei rilievi parziali ma opportunamente riferiti a strutture inamovibili del vano dell’organo delle seguenti parti:

  1. tutti i sostegni dei somieri;
  2. meccaniche dei registri, della tastiere e della pedaliera;
  3. manticeria (in locale apposito) e condotti del vento;

Sono stati inoltre acquisiti in loco tutti gli indispensabili elementi ed informazioni sulle connessioni, collegamenti e interrelazioni tra i vari elementi al fine di possedere quanto necessario per il successivo rimontaggio.
Tutto il materiale è stato accuratamente imballato al fine di evitare ogni possibile deterioramento durante il trasporto avvenuto a mezzo autoarticolato. Appena giunte in laboratorio ad Azzio le casse contenenti lo strumento sono state opportunamente controllate ed è stata verificata la loro completa integrità.
Il materiale è stato subito tolto dalle casse e depositato in ambiente con pari umidità relativa per una prima suddivisione e catalogazione delle singole parti dello strumento. Soprattutto il materiale fonico è stato messo in condizioni tali da evitare ogni pericolo di ulteriore deterioramento; le canne di maggiori dimensioni sono state disposte in posizione verticale mentre quelle più piccole sono state disposte orizzontalmente in idonei contenitori.

La prima operazione condotta su tutto quanto trasportato in laboratorio è stata una generale pulizia con eliminazione della polvere superficiale e dei depositi di materiale vario del tutto estraneo alle varie parti dello strumento. Le canne sono state lavate una prima volta permettendo così di poter ben operare durante le prime fasi di sommaria “lettura“ e catalogazione.
Il materiale è stato poi suddiviso e trasportato nei vari laboratori specializzati e dedicati ad ogni singolo restauro (somieri, mantici, meccaniche, materiale fonico, ecc.).
Dopo le operazioni di iniziale pulitura e preliminarmente a qualsiasi intervento sia di smontaggio sia di restauro è stata condotta una completa e dettagliata “lettura” di tutte le parti al fine di avere un quadro completo e il più esaustivo possibile relativo alle tecniche di lavorazione e alle scelte operate dall’originario costruttore.
Lo studio e l’interpretazione dei dati emersi sono stati condotti contemporaneamente su tutti gli elementi costitutivi lo strumento. In particolare i primi rilievi sul materiale fonico sono stati confrontati con gli spazi presenti sul somiere e le forature del crivello. Il tutto integrato con continui confronti con il materiale documentario pubblicato.
Lo studio dello strumento e la “lettura” di ogni singola parte è stata costante e continua per tutto il tempo del restauro in quanto ogni nuovo elemento acquisito necessitava confronti con quanto già emerso e con le caratteristiche proprie del manufatto nel suo insieme.
A seguito della approfondita e dettagliata “lettura” dello strumento è stato possibile confermare quanto già era emerso in sede di sopralluogo: il legame, ancora tutto da studiare e precisare, tra il Piantanida e la scuola organaria varesina.
Alcuni particolari del somiere (cartelle con fori rettangolari per il passaggio delle punte dei ventilabrini, “ganci” utilizzati per il bloccaggio delle portelle della segreta, con particolare riguardo a quelli doppi eseguiti in unico pezzo), la segnatura delle canne, rimandano alle medesime caratteristiche riscontrabili negli organi costruiti, a partire dalla metà del Settecento, da Giovanni Battista Biroldi (il capostipite della scuola organaria varesina).

Secondo una tradizione, non ancora del tutto chiarita, Giovanni Battista Biroldi si sarebbe recato in Germania (molto più verosimilmente in Svizzera) ad imparare il mestiere dello “stagnino”. Apprese invece l’arte organaria e la diffuse nel territorio varesino ove prese sede nel 1745.
Soprattutto la segnatura è tipica di alcune zone al nord delle Alpi (luoghi ove si sarebbe recato il Biroldi) ed è stata poi perpetuata, almeno nel Varesotto, fino all’inizio del Novecento.

Piantanida venne verosimilmente in contatto, in qualche modo, con questi organari, o quanto meno con le loro opere, e ne apprese le caratteristiche costruttive; tenendo presente queste particolarità è stato possibile, in sede di restauro, utilizzare alcune metodologie e dettagli propri della scuola organaria varesina.

RESTAURO DELLA CASSA

La cassa si presentava danneggiata a causa di diversi fattori:
–    usura nella parte inferiore che lasciava intravedere molte zone prive di doratura;
–    distacchi e rotture causate dal naturale movimento del legno e dell’umidità particolarmente presente in corrispondenza del muro.

Un’attenta analisi della superficie dorata ha evidenziato due precedenti interventi di restauro.
Il primo, eseguito a regola d’arte, è consistito nella ricostruzione di molti fregi lignei e nel rifacimento della doratura con oro zecchino applicato “a guazzo”.

Il secondo intervento si è limitato ad una semplice applicazione di “porporina” (bronzo in polvere) estesa su molte superfici, nella quasi totalità dei dentelli della cornice sommitale, nel panneggio, nelle mani e nel volto della statua sommitale.

LAVORI ESEGUITI

  1. Spolvero generale con applicazione di una mano di antitarlo.
  2. Rimozione di tutte le imbrattature a “porporina” e pulizia generale con miscela di acetone-alcool.
  3. Applicazione di colla lapin a caldo (a bagnomaria), su tutte le parti rimaste a legno o a gesso; nei casi di estesi sollevamenti si è intervenuto con siringature o riadesioni con lo stesso tipo di colla.
  4. Ricostruzione in stucco (come in origine) di alcune parti della decorazione “a grottesco” delle colonne, dei dentelli della cornice sommitale in corrispondenza dei chiodi originali la cui ossidazione ha causato il distacco della stuccatura e della relativa doratura. Onde evitare il ripetersi di tale inconveniente si è proceduto a una prima stuccatura isolante con materiale sintetico seguita da stuccatura con “gesso di Bologna”.Con quest’ultimo stucco, applicato in più mani, si è provveduto alla ricostruzione delle superfici andate distrutte, lisciate “a filo” e quindi trattate con Bolo (assiette a doré) in rosso cupo con l’originale. Particolare impegno ha richiesto il restauro della statua sommitale del Re Davide.
  5. Doratura generale con oro zecchino (23 KT doppio spessore) applicato “a guazzo” su tutte le superfici ricostruite o che presentavano evidenti spellature (l’oro era stato asportato dalle continue puliture).
  6. Ritocchi di dorature delle superfici opache della parte inferiore della cassa eseguiti “a missione” come in origine.
  7. Parziale lucidatura a “Pietra d’Agata” al fine di armonizzare le ricostruzioni all’originale.
  8. Le patine sono state ottenute: con miscela di acqua – zuccheri – aceto – terre coloranti per le parti realizzate “a missione”; a “tavolozza” con miscela di terre e alcool per l’intonazione delle dorature “a guazzo”.
  9. Le parti policrome (finto legno del basamento) sono state pulite e poi fissate con “sandracca” (resina di cipresso in soluzione alcolica).

La stesura di un leggero strato di cera sulle parti lignee e l’applicazione di una consistente dose di antitarlo sul retro della cassa hanno concluso l’opera di restauro.